L'allarme di don Valerio Chiovaro: "Reggio abbandonata. E i giovani pagano il prezzo più alto"

don valerio chiovaro2L'intervento di don Valerio Chiovaro, presidente dell'associazione "Attendiamoci onlus" dopo il suicidio della giovane Maria Rita Lo Giudice:
"Rompo il silenzio stampa, e non lo faccio per commentare una tragedia: una mia visione della vita mi impone di rispettare il dolore della famiglia e di non dare neanche l'impressione di strumentalizzare le tragedie.
Leggo, invece, alcuni articoli, triste! Proclami di unità, aperture di attenzione... finalmente ci siamo ricordati del mondo giovanile.
Tra tutti, però, mi fa riflettere quello che raccoglie le esternazioni del procuratore De Raho. "Abbiamo perso una persona che poteva cambiare la Calabria". Caro procuratore: ne perdiamo tante! Ogni giorno e questa è la tragedia. Non perdiamo solo le persone che se ne vanno, tantissime; ma anche quelle che rimangono in questa città, dove ci sentiamo tutti dentro una interdittiva antimafia, dove sembra che tutti ci vogliano sequestrare preventivamente tutto, perfino la possibilità di pensare, parlare, fare il bene. E' il sentire della gente che vede - sia chiaro vede, non percepisce!- le Istituzioni sempre più lontane e autoreferenziate, giornalistiche. Paladine di un'etica scontata e omiletica. Istituzioni che non incontrano le persone, ma che pontificano alla folla. Istituzioni sempre pronte a parlare di rete, ma chiuse a "reti preconfezionate", dove sembra non esserci spazio per altri, per chi ha capacità di contraddittorio.
La nostra è diventata una città nella quale ci si spaventa di parlare, di telefonare, di fare ogni cosa. La città dei clan ad ogni livello. Del "a chi appartieni" amplificato. Del se "sei con lui non puoi essere con me". La persona non avrebbe un nome e un cognome, ma è e deve essere emanazione di un altro. Morto il comunismo c'è il nominalismo. Morto l'idealismo, c'è il decelebralesimo. Ma questa forse è diventata l'Italia.

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In questa città devi stare attento, perché se ti "muovi troppo", vuol dire che te lo permette la mafia, quindi sei colluso; se ti "muovi poco", vuol dire che hai paura della mafia e quindi... sei soggiogato. Non puoi crescere. E' una città abbandonata e in questo, come al solito, i giovani ne pagano lo scotto più alto. La città abortisce futuro! E i giovani si suicidano, buttandosi ora da qualche parte e sempre nel vuoto. Nel vuoto più totale! Nel vuoto dell'isolamento, delle nostre piazze, dell'uso di alcohol, della totale assenza di una politica giovanile, come se l'unico argomento fosse l'assenza di lavoro, o la presenza della mafia, più che la presente assenza dello Stato. Sono giovani che si suicidano ogni giorno, senza che articoli e dichiarazioni ne diano importanza. Giovani anonimi, aggrediti dalla stessa piovra della malavita, pur avendo altri cognomi. Certo lei, signor procuratore, non è un assistente sociale, è il procuratore. E' la pubblica accusa, più che l'accusa pubblica. E quindi nel "mea culpa" aggiunge siamo "tutti responsabili". Forse lo fa per prassi professionale.
E tra chi piange, scrive, accusa, ci sono diverse categorie di adulti: i visibili e gli invisibili, quelli che si accusano, per accusare gli altri e quelli che si giustificano, giustificando tutti... Quelli che "la colpa è del governo" e quelli del governo, per i quali la colpa è dei cittadini. E poi quelli del "tutti siamo responsabili"... Quelli che lavorano, che fanno fatti, e quelli che criticano... insomma i reggini, i non reggini, i "trampolinisti di passaggio", i rappresentanti delle Istituzioni.... L'umanità in tutte le sue sfumature, perfino nella più melodrammatica esigenza di essere sempre "sul pezzo". Sorrido, triste! Perché nel frattempo i giovani muoiono nella nostra città di giovani, governata da giovani. Il paradosso.
In tutto questo c'è chi continua a lavorare, perché non vuole recitare un "mea culpa", ma gridare un "noi ci siamo". Lo diciamo da tempo all'Amministrazione Comunale e al suo Sindaco che in questi anni non ha mai avuto modo di presenziare alle nostre iniziative. Eppure gestiamo beni confiscati e da sempre abbiamo collaborato con il Comune e gli altri Enti. O forse è questo il problema: che da sempre facciamo rete, al di là del colore politico, o del commissariamento prefettizio. E se questo è il problema perché parlate ancora di reti? "Noi ci siamo e lavoriamo con i fatti", perché crediamo che i fatti siano la parola che i giovani possano credere.
Lavoriamo da anni nella prevenzione del disagio, focalizzando anche il tema del disagio derivante dal vivere in ambienti ad alta densità mafiosa, perfino il disagio di chi ha incollato sopra un nome.
In fondo Reggio e i suoi cittadini sono stati commissariati anche per questo. Per il peso di alcuni nomi, per alberi genealogici che, sotto la luce di improbabili microscopi, amplificano i "geni del marcio".
Lavoriamo da anni visibili e invisibili. Forse a Reggio non siamo così conosciuti. Forse siamo invisibili alla politica locale, forse non siamo così ri-conosciuti. Se non fosse per le tante attività che facciamo, e a che a volte danno fastidio ai dormienti, o agli "organizzatori di eventi", saremmo ancora più invisibili.
La colpa? Forse quella di essere di questa città, una città dove, secondo alcuni magistrati, tutti sono 'ndranghetisti. Forse la colpa è di "fare troppo", o di includere ed integrare tutti: quelli che hanno cognomi importanti e cognomi meno importanti, perfino quelli che hanno la colpa di avere cognomi discutibili (chi non ha un cognome discutibile se si ricerca fino al quarto grado?) e quelli che vengono dal Mediterraneo, con le barche. Basta che siano giovani, perché crediamo veramente che la scuola, l'università, la cultura, la amicizia... e la fede, possano creare legami di appartenenza più forti e viscerali dei legami malavitosi. Perché crediamo che i legami possano salvare la vita, lo crediamo, lo vediamo, lo facciamo, da tempo. Formazione, amicizia, occasioni di vita in comune, accompagnamento dei giovani nelle sedi universitarie in Italia e all'estero. Studio, apprendimento... Legami in una città slegata, che isola, esclude, rende invisibili, elimina.
Non abbiamo tempo per farci vedere, per una comunicazione "scientifica", ma "ci siamo", senza alimentare polemiche, commenti, agorà sul nulla. Perché crediamo che ciò che facciamo possa salvare la vita, prima ancora che raccoglierne i pezzi sopra un marciapiede.
"Ci siamo" e lavoriamo per il bene dei giovani e questo ci basta, al di là di riconoscimenti e conferenze di servizi. "Ci siamo", anche per chi ci vuole invisibili. Perché anche il seme che cresce nella profondità del terreno porterà frutto. "Ci siamo e ci restiamo", senza retoriche e "nostra culpa". "Ci siamo" in una continua e rinnovata disponibilità a mettere le nostre competenze ed esperienze, al servizio delle Istituzioni, delle Amministrazioni locali, di chi serve i giovani; pronti a continuare a dare le nostre vite per il bene della collettività".
don Valerio Chiovaro